Domenico Piva

Piva  Domenico fu Giovanni, nacque a Rovigo il 3 dicembre 1825.

Fu un giovane molto irrequieto e si trovò coinvolto in continui gesti di opposizione al dominio austriaco. Il padre aveva pensato utile per lui la disciplina militare e così a 19 anni , suo malgrado, vestì la divisa della Guardia di finanza al servizio del governo austriaco. Ma Domenico, ottenuto il congedo nel febbraio 1848, si trovò coinvolto nella manifestazioni a Padova e a marzo, si arruolò nei volontari. Dopo la caduta di Venezia si unì alla Legione italiana organizzata da Garibaldi, con la quale partecipò alla difesa della Repubblica romana con il grado di sottotenente e alla ritirata dalla città dopo la sconfitta. Caduto prigioniero degli austriaci nelle acque di Punta Maestra nell’Adriatico, il 3 agosto 1849 viene tradotto al forte di Pola e venne costretto all’arruolamento forzato di otto anni nell’esercito austriaco. Durante questo periodo si spostò nei territori dell’Impero, prese parte all’occupazione dei principati danubiani e raggiunse il grado di feldwebel (sergente), prima di essere posto in riserva e congedato alla metà del 1858.
Egli ha quindi alle spalle una notevole esperienza militare quando decide di espatriare clandestinamente dal Veneto per prendere parte alla seconda guerra d’indipendenza. Si arruolò come soldato semplice tra i Cacciatori delle Alpi, ricevendo però rapidamente il grado di sottotenente e la medaglia d’argento al valor militare per il comportamento durante la battaglia di Treponti.
Alla fine della guerra, nel settembre dello stesso anno, si dimise. Continuò a prestare la sua opera a favore della causa nazionale occupandosi nei mesi successivi, per conto del Comitato veneto di Ferrara, dell’arruolamento degli emigrati provenienti dalle province ancora soggette all’Austria. Venne arrestato con l’accusa di aver istigato alla diserzione alcuni bersaglieri, già volontari garibaldini, che si erano allontanati dalla caserma per raggiungere Garibaldi a Bologna e partecipare alla progettata invasione dello stato Pontificio. Assolto dall’accusa e rimesso in libertà, abbandona l’Emilia, e si trasferì a Genova, per partecipare ai preparativi della Spedizione in Sicilia.

Imbarcatosi sul Lombardo come tenente nella compagnia comandata da Bixio, salì rapidamente i gradi della carriera militare. Dopo la battaglia di Calatafimi, il 16 maggio, venne promosso capitano; l’11 giugno fu nominato maggiore comandante di battaglione; il 14 ottobre ricevette la nomina di tenente colonnello dopo aver combattuto valorosamente a Maddaloni.
Dopo la fine dell’impresa decise di entrare nell’Esercito italiano conservando il grado. Con la lunga esperienza maturata in ambito militare, la scelta di passare nell’esercito gli sembrò la più naturale. Del resto cos’altro avrebbe potuto fare nella vita civile dal momento che era emigrato e aveva fatto sempre il soldato?
Nel 1862 si sposò con Carolina Cristofori milanese di origine mantovana, più giovane di lui.
In seguito la moglie per anni fu l’amante e l’ispiratrice del poeta Giosuè Carducci.
Nell’esercito regolare fu impegnato nell’opera di repressione del brigantaggio in Sicilia, compito da cui è richiamato nel 1866 per prendere parte alla terza guerra d’indipendenza. Tornò ancora nell’isola, a capo del 60° reggimento di fanteria, per reprimere la ribellione scoppiata a Palermo. Fu poi per servizio a Verona, Milano, Civitavecchia e infine a Bologna
Uomo tutto d’un pezzo e dotato di un forte senso del dovere, nel corso della sua carriera viene insignito di varie onorificenze e concluse la sua carriera con il grado di generale.

Nel 1880, dopo l’infelice esito della sua candidatura nel collegio di Rovigo col sostegno della destra, fu collocato in pensione dal ministro Benedetto Cairoli.
Dopo la morte della moglie nel 1881 tornò a Rovigo dove morì il 5 luglio 1907.

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