Filippo Manci

Filippo Manci

Filippo Manci, giovane conte trentino, visse una breve e tragica esistenza, sopraffatto da tumultuosi eventi e da ideali delusi che lo trasformarono da eroe in folle omicida del padre .

Manci Filippo di Vincenzo e di Lucia Figaroli nacque a Povo (Trento) il 3 agosto 1839.

Facava parte di una nobile e benestante famiglia residente in una villa di Mesiano.
Compiuti dapprima gli studi a Trento, si iscrisse in giurisprudenza presso l’Ateneo di Padova dove partecipò all’ambiente patriottico: per evitare l’arresto dopo una dimostrazione nel 1959 riparò in Piemonte e partecipò alla II Guerra d’Indipendenza, aggregato alle Guide nei Cacciatori delle Alpi. Si segnalò per il suo valore nelle battaglie di S.Fermo e di Varese e mostrò sangue freddo nello sfortunato tentativo di una sorpresa notturna del forte di Laveno.
Al termine della campagna restò in Lombardia, coinvolto nell’organizzazione della spedizione dei Mille.
Partecipò al finto furto del “Lombardo”. A Talamone con il grado di tenente fu assegnato alle Guide.
Nella battaglia di Calatafimi fu accanto a Schiaffino nell’episodio della bandiera. Combattè nelle giornate di Palermo e fu all’assalto della barricata posta a Porta Termini assieme al Bezzi e al Tranquillini anch’essi trentini con cui formava il cosiddetto trio dei “Tre moschettieri”.
Dopo la presa di Palermo seguì la colonna Bixio. Partecipò allo sbarco in Calabria. Fu uno degli otto ufficiali che entrarono a Napoli accanto al Generale il 7 settembre.
Subito dopo fu ricoverato in ospedale sfinito dai disagi della campagna; ebbe anche il tifo e non partecipò all’ultima parte della campagna. Ebbe conferita la croce dell’ordine militare di Savoia per essersi distinto a Calatafimi, a Palermo e in Calabria.

Dopo l’impresa accompagnò a Londra il generale Stefano Türr e al ritorno si fermò a Milano concludendo gli studi di giurisprudenza e poi frequentando la Reggia Accademia scientifica-letteraria con l’idea di laurearsi in Lettere.
Tra il 1861 e il 1862 cospirò per il fallito tentativo di sollevare il Trentino, stroncato a Sarnico dall’esercito Italiano.
Nel 1862 seguì il Generale Garibaldi e fu ad Aspromonte tra i soccorritori del generale.
Arrestato fu rinchiuso nella fortezza di Bard. Dopo la liberazione ritornò ancora a Milano dopo l’amnistia.
Nel 1864 prese parte attiva alla fallita congiura per la liberazione del Veneto e dimorò per breve tempo a Varese, recandosi a Lugano da Mazzini.
Nel 1866 partecipò alla III Guerra d’Indipendenza combattendo, con il grado di capitano, nelle varie località e anche in Trentino.
Dopo la tregua, con soli 40 uomini, penetrò in Trentino ma dopo poche ore dovette rinunciare al velleitario tentativo.
L’impossibilità di raggiungere la sua città natia e le vicende della guerra causarono a Manci, che aveva un carattere molto sensibile, una profonda delusione che si univa a quella per i precedenti tentativi falliti.

Tornato a Milano con l’intenzione di intraprendere la professione forense, cadde in una profonda depressione, nonostante l’affettuosa assistenza dei vecchi compagni d’armi. Nel 1868 il governo austriaco, grazie ad uno zio, ne permise il ritorno a Trento dove non trovò alcun sollievo alla propria condizione. La famiglia credendo che il male avesse origine dalla politica, lo indusse a risiedere a Padova per esercitare l’avvocatura. Poco tempo dopo chiese ed ottenne dal padre di ritornare a Milano. Qui la depressione assunse un altro aspetto. Si fissò in mente che fosse un disonore l’esser andato a Trento e pensava di essere sospettato una spia dell’Austria.
Gli amici decisero di inviarlo nuovamente a Trento, accompagnato da Enoch Bezzi (fratello di uno dei Mille). Si credette che stesse migliorando tanto che un giorno chiese al padre di leggere il Manzoni. Il povero padre ignaro della sciagura che stava per accadere acconsentì ben volentieri. Era salito su un gradino per prendere il volume del Manzoni quando il Manci afferrato uno rasoio che si trovava sul tavolo assalì il padre tagliandogli la gola. Insanguinato corse alla farmacia di Bezzi gridando: “ho liberato la patria da una persona assai cattiva, ho ammazzato la spia”.
Fu arrestato e tratto in carcere. Dopo 15 giorni fu consegnato alla famiglia che credette opportuno inviarlo a Milano per internarlo nella casa di salute retta da Biffi.
Un giorno tentò di saltare dalla finestra. Vigilato strettamente, un giorno cercò la morte sbattendo il capo al muro e fu costretto ad indossare la camicia di forza. Precluso ogni movimento un giorno si morse la lingua troncandone una terza parte. I suoi bollenti furori si calmarono un poco ma sopraggiunse la cancrena. Il giorno 10 la sua salma fu portata al Cimitero Monumentale; al funerale presero parte pochi commilitoni.

“..Un giorno Ergisto Bezzi e Francesco Martini lo trovarono ritto sulla soglia della porta di casa mancandogli l’animo di entrare e di uscire. Egli era armato di due pistole – Che vuoi farne? Gli chiesero. Difendermi. E pianse dirottamente e passò poi la notte delirando…”

A. MARIO
5,0 / 5
Grazie per aver votato!

Rispondi