Nicola Mignogna

Mignogna

Nicola Mignogna fu cospiratore e organizzatore più che combattente, ma resistette alle torture e con il suo processo il Regno delle Due Sicilie perse ogni credibilità internazionale e si avviò alla fine

Mignogna Nicola di Cataldo nacque a Taranto il 28 dicembre 1808.
Intraprese i suoi primi studi nel Seminario arcivescovile di Taranto, passando poi  agli studi di giurisprudenza fatti a Napoli, dove fece amicizia con Benedetto Musolino e Luigi Settembrini.
Nella capitale esercitò la professione senza particolare successo e iniziò a cospirare contro la monarchia negli ambienti carbonari che ancora sopravvivevano a Napoli.
Nel 1848 partecipò all’insurrezione sulle barricate. Nel 1849 venne brevemente arrestato durante le indagini relative a un progettato attentato contro il re. Fu sospettato di un clamoroso attentato a Pio IX e nel 1851 nuovamente arrestato, restò in carcere fino al 1854, subì la confisca dei beni e l’interdizione dalla sua attività professionale.
Fu rilasciato e visse in povertà continuando ad essere sorvegliato e diventando il punto di riferimento per il comitato insurrezionale, ormai mazziniano. Nel 1855, a seguito della denuncia di un delatore, subì nuovamente la perquisizione, il carcere, la pena di cento legnate. Mignogna come nelle precedenti occasioni rifiutò ogni collaborazione, rimanendo in silenzio e salvaguardando gli altri cospiratori. La sua salute ricevette un duro colpo durante la detenzione e si dice che barba e capelli diventarono improvvisamente bianchi per la situazione traumatica vissuta.
Il “processo Mignogna” che convolse anche la sua più stretta collaboratrice, Antonietta De Pace (assieme ad altre 12 persone), ebbe una grande eco in tutta Europa mettendo in luce le terrificanti condizioni delle carceri borboniche. Grazie agli effetti delle notizie di stampa sull’opinione pubblica straniera e all’azione di diplomatici inglesi, il processo si concluse nel 1856 con la condanna all’esilio perpetuo.
Fu sbarcato a Genova dove trovò ad accoglierlo Pisacane, col quale era in corrispondenza da prima dell’arresto e collaborò alla preparazione della fallita impresa. A Pisacane mancò durante l’apporto sul posto del Mignogna, ormai debilitato nel fisico.
Visse qualche anno a Genova, rimanendo il principale referente di Mazzini per il Mezzogiorno, tanto da essere incaricato di un colloquio per indurre Cavour a non ostacolare il lavoro del Partito d’Azione nel sud.
Nel 1860 partecipò alla spedizione dei Mille. A Talamone fu aggregato alla III Compagnia.
Dopo la liberazione di Palermo fu inviato ad accendere l’insurrezione sul continente.
Giunto clandestinamente a Napoli dopo contatti con vari comitati, scelse di intervenire nella Basilicata dove riuscì a coinvolgere molti volontari e ad organizzare un governo provvisoria a Potenza; andò incontro a Garibaldi a Lagonegro. Il 7 settembre entrò a Napoli con il generale Garibaldi.
Dopo il congedo riprese l’attività politica all’interno del gruppo democratico napoletano, rimanendo un convinto repubblicano.
Nel 1862 prese parte alla spedizione in Aspromonte.
Rifiutò la candidatura alla Camera dei deputati per le sue ristrettezze finanziarie, ma accettò quella al Consiglio Comunale di Napoli dove venne eletto nel 1862 e riconfermato nel 1865.
Dopo Mentana si ritirò poi dalla vita politica e si trasferì a Giugliano, dove prese in affitto una porzione del lago di Patria per sfruttarlo per la pesca, riprendendo l’attività svolta anni prima dal padre a Taranto. 
Morì il 31 gennaio 1870 a Giugliano in Campania.

“Un uomo puro”

G. GARIBALDI
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