Ovidio Serino

Ovidio Serino, sacerdote del sud, lasciò la tonaca e affrontò l’ergastolo per gli ideali repubblicani che vide tramontare all’indomani dell’Unità e tornò quindi a rivestire l’abito talare.

Serino Ovidio di Francesco nacque a Corifì frazione di Mercato S.Severino (Salerno) 5-4-1813.

Era un sacerdote da alcuni anni quando prese parte attiva ai moti del 1848. Dopo la restaurazione, per aver cospirato e poi combattuto dalle barricate in Napoli, fu condannato dalla Gran Corte speciale di Salerno, a morte nel 1852. La pena gli venne commutata nell’ergastolo da scontarsi a Procida e in altri bagni penali. Nel 1858, la pena anzidetta venne ancora commutata nell’esilio perpetuo dal regno, da scontarsi nella Repubblica Argentina. Imbarcato sulla nave Stromboli, assieme a Carlo Poerio, Luigi Settembrini, Silvio Spaventa ed altri numerosi prigionieri politici, raggiunse Cadice, dove, dopo lunga sosta, i forzati furono trasbordati su di un bastimento statunitense che doveva fare la traversata. Grazie a Raffaele Settembrini, figlio di Luigi, lungo il viaggio, giunti al largo, imposero al capitano di dirigere la rotta verso l’Inghilterra, e sbarcare i deportati in Irlanda, ove i patrioti riacquistarono la libertà, acclamati del popolo inglese.
Ritornato in Italia, Ovidio Serino incontrò a Genova gli esuli conter­ranei, Vincenzo Padula, Filippo Patella, Giuseppe Maria Pessolani, Antonio Santelmo, Michele Magnoni, Leonino Vinciprova ed i fratelli Del Mastro, facendo in tempo a prendere parte con essi alla gloriosa spedizione dei Mille, partita dallo scoglio di Quarto all’alba del 6 maggio 1860. Fu aggregato alla III compagnia.
Dopo la battaglia di Calatafimi, fu aggregato all’artiglieria di Orsini.
Durante la campagna, diede prove di valore e di coraggio, fino a conseguire la nomina a maggiore e la medaglia d’argento al valor militare per essersi distinto nelle fasi finali del conflitto.
A fine campagna, deluso dal tramonto degli ideali repubblicani e nonostante le onorificenze e l’amicizia di personaggi importanti come Carlo Poerio, decise di rien­trare nel grembo della Chiesa. Rivesti nuovamente l’abito talare e fu autorizzato a celebrare la Messa.
Non chiese la pensione dei Mille e morì incontaminato e povero nel suo paese natale di Carifi di S. Severino, il 4 febbraio 1886.

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