Raffaele Piccoli

Raffaele Piccoli

Raffaele Piccoli per i propri ideali soffrì anni di carcere sotto i Borbone e anni di disperazione sotto Savoia; infine si uccise in modo orrendo.

Raffaele Piccoli nacque a Castagna (CZ) il 10 ottobre 1819 in una famiglia modesta; il padre faceva il calzolaio.
Ebbe una vita turbolenta e avventurosa rimanendo sempre fedele agli ideali repubblicani.
Studiò in Seminario e fu ordinato diacono. Viaggiò a  Roma, Firenze e Pisa. Partecipò alla rivoluzione antiborbonica calabrese nel 1848 con azioni spericolate che sembrano anticipare il brigantaggio. Dopo il fallimento dei moti calabresi, si recò a Roma e partecipò alla difesa della Repubblica Romana.

Tornò nel Regno delle due Sicilie e venne arrestato e condannato per cospirazione a una lunga reclusione sull’isola di Santo Stefano. Dopo un decennio nei penitenziari della Campania, fu imbarcato sullo “Stromboli” per essere deportato in America insieme a Ferdinando Bianchi, Stanislao Lamenza, Luigi Settembrini, e altri.
Riuscì a fuggire perché Raffaele Settembrini dirottò sul Regno Unito la nave statunitense che doveva portarli da Cadice fino in Argentina. Riprese contatto con Mazzini e i cospiratori repubblicani.
Partecipò come ufficiale all’impresa dei Mille da Marsala a Napoli concludendo la campagna con il grado di maggiore.
Successivamente, mentre altri compagni delle carceri borboniche diventavano deputati, ministri e rispettati intellettuali, Piccoli rimase in miseria. Coerente con l’ideale repubblicano, non accettò gli esiti dell’unità e non si integrò nel nuovo regno italiano.

A causa della sua attività sovversiva mazziniana gli fu respinta una domanda di fare lo spazzino. Partecipò nel 1870 a un tentativo di insurrezione a Filadelfia in Calabria (a cui dette il suo ambiguo appoggio Ricciotti Garibaldi). I rivoltosi furono dispersi dalla truppa. Piccoli fu costretto alla latitanza sulla Sila, poi a un lungo esilio a Malta e gli fu revocata la pensione di reduce dei Mille.
Riuscì a tornare in Italia ma subito dopo morì suicida il 27 luglio 1880 in una locanda di Catanzaro: «si è coperto la testa con uno straccio, ha preso un martello e si è piantato un chiodo nel cervello».
Lasciò in miseria moglie e cinque figli: Marsalino, Palermina, Giuseppe Mazzini, Quinzio Cincinnato e Italia.

” Fratello, aveste torto a sorgere senza dare un avviso a me che solo poteva e avrei voluto giovarvi. Ora se tuttora esistete, come dicono, nella Sila, fate tutto quello che potete per mantenervi…”

lettera di G.MAZZINI
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