Stanislao Lamenza

Stanislao  Lamenza

Stanislao Lamenza dedicò la vita ai suoi ideali; lascio famiglia e vita agiata per il carcere e l’esilio. Morì quando ormai era vicino al ritorno a casa.

Stanislao Lamenza (La Menza) di Vincenzo (medico), nacque a Saracena il 2 gennaio 1812.
Studiò leggi presso l’Università di Napoli e fece il tirocinio presso un suo zio avvocato. Ritornato nella città natale esercitò la professione e divenne amministratore dei beni del principe Pietro Antonio Sanseverino di Bisignano in Calabria.
Era dunque uno stimato e agiato professionista e padre di quattro figli: nonostante volle impegnarsi nella cospirazione politica per migliorare le difficilissime condizioni della gran parte della popolazione meridionale.
Iscrittosi alla Giovine Italia prese parte attiva ai moti cosentini del 1844 e subì il carcere per diciotto mesi. Nel 1848 prese le armi insieme ad altri insorti assumendo un ruolo di comando. Dopo il fallimento della sollevazione fu arrestato e condannato, prima a morte e poi all’ergastolo.

Nel 1859, dopo dieci anni di carcere a Procida, fu imbarcato sullo “Stromboli”, fino a Cadice, per essere deportato in Argentina.
Grazie al dirottamento della nave americana che doveva compiere la traversata da parte di Raffaele Settembrini, riuscì con i suoi compagni (Ferdinando Bianchi, Raffaele Piccoli, Luigi Settembrini e altri) a raggiungere la libertà nel Regno Unito.
Si rifugiò prima a Londra e poi a Torino. Aveva fama di repubblicano ed estremista.

Partecipò alla Spedizione dei Mille e faceva parte, con il grado di ufficiale, della III compagnia composta da esuli meridionali.
Stanislao Lamenza cadde a Palermo il 27 maggio sul ponte dell’Ammiraglio. Sorse qualche sospetto che si trattasse di fuoco amico o di qualche vecchia ruggine tra esuli calabresi.
Il Generale Garibaldi fece assegnare alla vedova la pensione annua di £ 1.500 per provvedere anche ai quattro figli.
Nonostante una vita dedicata agli ideali sociali e risorgimentali venne praticamente dimenticato.


”La morte lo aveva fermato lì, senza misericordia per i suoi dieci anni di ergastolo”

G.C. Abba.
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