Antonio Santelmo

Santelmo

Santelmo (Sant’Elmo) Antonio di Michele e di Rosa Marrano nacque a Padula (Salerno) il 25-12-1815.
Apparteneva a una famiglia di possidenti di tradizione antiborbonica: il nonno, il padre e altri parenti erano stati coinvolti in fatti politici dal ’99 al ’48.

Tuttavia frequentò le scuole del Seminario, ma non vesti l’abito ecclesiastico.
Nel 1848, Antonio risultava in contatto con gli uomini che stavano preparando la rivolta nel salernitano, in particolare con Costabile Carducci ed i fratelli calabresi Domenico e Giannandrea Romeo. Fu proprio in quegli anni che venne indicato quale cospiratore e nemico del governo borbonico e venne arrestato coi fratelli Francesco e Vincenzo, con l’accusa di lesa maestà e cospirazione. Il processo fu rimesso al Giudice Istruttore nel 1850 ed il 10 giugno 1851 furono assolti dalla Gran Corte Criminale di Salerno per mancanza di prove.

Nel 1857 partecipò, insieme ai fratelli, alla cospirazione che doveva appoggiare la spedizione Pisacane. Dopo il fallimento, causato anche dall’incompetenza di coloro che come lui erano i referenti di Pisacane sul territorio, Santelmo venne catturato in un nascondiglio nella cantina di casa, incarcerato e dopo le controverse vicende giudiziarie del processo, graziato e costretto all’esilio a Genova nel 1858.

Nel 1860 partecipò alla spedizione dei Mille, aggregato alla III compagnia di cui fu uno dei sottotenenti.
Nella battaglia di Calatafimi fu ferito e promosso tenente.

A Palermo, Nicotera, uno dei partecipanti alla spedizione finita a Sapri, appena liberato dal carcere di Favignana lo affrontò armi alla mano. Lo accusava di essere uno dei responsabili del fallimento di Sapri, per vigliaccheria, per aver ingannato Pisacane con false speranze, forse per tradimento. Fu necessario un giurì d’onore per calmare la situazione e scagionare Santelmo.

Anticipò la risalita della spedizione verso Napoli, inviato con altri cilentani a organizzare l’insurrezione del Cilento e del Vallo di Diano.
Dopo l’impresa, conclusa con il grado di capitano, ritornò a Padula.
Ebbe le medaglie commemorative e la pensione dei Mille.
Nel 1866 partecipò alla III Guerra d’Indipendenza meritando una medaglia al valore.

I fratelli ricoprirono cariche importanti dopo l’Unità.
Si sposò solo nel 1880 e morì a Padula il 1881.

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