
Le 1000 storie dei Mille di Garibaldi
I cospiratori meridionali, cioè l’opposizione più duratura al regime borbonico si concentrarono, oltre che ovviamente nell’indipendentismo siciliano, in un triangolo “rivoluzionario” che faceva capo al Cilento, al Pollino e alla Sila.
Le idee liberali erano radicate in una classe sociale borghese costituita su base familiare, fatta di professionisti ma soprattutto possidenti, che si trasmettevano di generazione in generazione l’aspirazione verso gli ideali liberali. Questo fin dal periodo murattiano, dai moti carbonari degli anni ’20, dalla rivoluzione del 1848 fino alle cospirazioni legate alla spedizione di Pisacane e ad altri episodi meno noti.
Queste famiglie erano classe dirigente nei piccoli centri ma in genere non vedevano sbocchi di affermazione personale e collettiva all’interno del potere politico gestito nella capitale. Inoltre erano, di fatto l’oggetto principale della pressione fiscale del governo di Napoli.
Quindi non nelle città ma in questi piccoli centri agricoli vivevano i personaggi che furono cospiratori infaticabili nei decenni centrali del secolo, fino all’unità d’Italia.
Queste caratteristiche avevano le famiglie o meglio dire le consorterie del Cilento della Lucania o della Calabria: Magnoni (Rutino), Santelmo (Padula), Pessolari (Atena), Romeo, Miceli (Longobardi), Morgante (Fiumara) ecc.
Molti di questi gruppi familiari ebbero il loro rappresentante tra i Mille e alla fine dell’impresa tentarono di incassare (con più o meno successo) gli interessi del loro investimento politico che aveva visto un continuo impegno sul territorio che aveva attraversato le generazioni e aveva comportato per molti il carcere duro e la latitanza.
Questo in un quadro generale ormai in completo mutamento che vedeva accentrare ogni cosa su Napoli e sulle città, lasciando i territori a un lungo ma costante declino.
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