Antonio Radovich

 Radovich

Antonio Radovich, ragazzo povero scappato dal Veneto e militare indomito; dopo le imprese fu uno dei pochi dei Mille a raggiungere una tranquilla vecchiaia.

Antonio Radovich, nacque a Spresiano (Treviso) 1 maggio 1837 in una famiglia di modestissime condizioni, come testimonia il destino cui vanno incontro i suoi genitori. Entrambi, infatti, muoiono miseramente nel 1856: la madre all’ospedale di Treviso il 5 aprile, per pellagra; il padre Stefano Michiellatto, postiglione ridotto a chiedere l’elemosina, morì improvvisamente per apoplessia il 27 dello stesso mese.
Il cognome Radovich, talvolta aggiunto nei documenti parrocchiali e civili, fu poi definitivamente assunto dal figlio e testimonia di antiche ascendenze dalmate.
La sua storia è quella di un vero combattente risorgimentale. Appena undicenne cooperò nel 1948 al sabotaggio del ponte di legno della Priula.
In età da leva, nel 1956, dopo la morte dei genitori e dopo essere già assegnato al Corpo degli Ulani, disertò e fuggì oltre i confini del Lombardo-Veneto asburgico per arruolarsi come volontario nell’esercito piemontese, con il quale fu in linea come bersagliere nelle battaglie di Solferino e San Martino, durante la Seconda guerra d’indipendenza.
Nel 1860 Antonio Radovich seguì il generale Sirtori all’imbarco da Quarto sul «Lombardo» agli ordini di Bixio. Divenne amico durante la traversata di Menotti Garibaldi. Partecipò alla spedizione dei Mille come sergente e poi sottotenente. Fu ferito d’arma da fuoco al combattimento di Palermo, mentre sparava dai tetti di via Marqueda su una postazione avversaria.
Ebbe le medaglie commemorative e la pensione dei Mille. Dopo l’impresa ottenne di rientrare nell’Esercito regolare, confermato sottotenente, ma dal 1862 fu in aspettativa per riduzione di corpo. Nel 1866 partecipò alla III Guerra d’Indipendenza in qualità di aiutante di campo del principe Amedeo di Savoia.
La vita militare consentì a Radovich di raggiungere una posizione sociale onorevole che certamente non avrebbe ottenuto nella via civile. Tuttavia nel 1869, nella ricorrenza dell’onomastico di Giuseppe Garibaldi, egli si presentò al sindaco di Dolo chiedendo che fosse innalzata in piazza la bandiera nazionale in onore del Generale. Il gesto, interpretato come atto politico, lo espose al Consiglio di disciplina, che lo privò del grado e del diritto alla pensione connessa alla medaglia dei Mille; infine, agli inizi di agosto, il Comando militare di Padova lo rimosse dal servizio. Ci vorranno dieci anni di suppliche e l’intervento dello stesso Garibaldi perché Radovich fosse reintegrato quanto meno nelle onorificenze e nelle indennità di spettanza.
Tornato senza lavoro e senza paga in Veneto, nel 1870 fu lo stesso Garibaldi a inviargli un telegramma in cui lo chiamava a combattere nella guerra franco-prussiana. Combatté a Digione e fu nominato maggiore sul campo.
Nell’elenco dei Mille del 1878 risultava residente a Dolo, ex sottotenente nel 65° Regg. Fanteria. Era sempre residente a Dolo quando Marsala nel 1910 gli conferì la cittadinanza onoraria.
Morì in tarda età nel 1923 a Dueville. Nella sua casa durante la Prima guerra mondiale aprì un ospedaletto da campo per i feriti scesi dai monti dell’Alto Vicentino. Un impegno che valse a Antonio Radovich, ormai ultraottantenne, la medaglia d’oro della Croce Rossa. .

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