Pietro Pezzuti

Pezzuti fu ferito a Palermo durante la lunga battaglia per le strade.
Le barricate di Palermo

Pietro Pezzuti, un giovane friulano, disertore dall’esercito austriaco, volontario garibaldino, povero emigrato, ritornò senza onori da dove era venuto, a fare il calzolaio come il padre.

Pezzuti Pietro Felice di Francesco e di Domenica Zandigiacomo, nacque a Polcenigo (Pordenone) il 20 novembre 1837. Il padre, che faceva l’artigiano, si trasferì con la famiglia nel 1846 a Padova, dove Pietro crebbe in un ambiente fortemente antiaustriaco. Nella città veneta visse fino al 1858, quando fu sorteggiato per essere arruolato nell’esercito austriaco, dal quale però presto disertò.
Fu così costretto a lasciare il Lombardo-Veneto come “emigrato politico” per evitare la prigione; si arruolò ventiduenne nel 1859, nelle file dei Cacciatori delle Alpi di Garibaldi, combattendo nella Seconda Guerra d’Indipendenza.
L’anno seguente fu tra i Mille garibaldini partiti a Quarto e sbarcati a Marsala, e venne inquadrato nella quinta compagnia comandata da Francesco Anfossi. Fu ferito nella battaglia di Calatafimi e poi anche a Palermo (27 maggio), ricevendo per questo la medaglia d’argento. Il Pezzutti soffrì per sempre degli esiti di queste ferite, in particolare alle gambe.
Dopo l’avventura dei Mille dovette vivere in esilio per sette anni, vagabondando tra Firenze (dove, nonostante le difficoltà economiche, si sposò nel 1861), Livorno, Milano e Torino, impossibilitato a rientrare a Polcenigo perché considerato disertore.
In questi anni Pezzutti visse in povertà arrangiandosi con vari lavori (merciaio, domestico, calzolaio) e con qualche scarso sussidio, come tanti altri emigrati veneti.
Nel 1867, dopo la III guerra d’Indipendenza, Pezzuti poté ritornare prima a Polcenigo e poi a Pordenone, dove continuò a fare il calzolaio.
Morì il 25 marzo 1890 al civico ospedale di Pordenone.

«… visse in misera fortuna conservandosi sempre degno del suo passato, quantunque le vicende della vita lo avessero esasperato in modo da farlo credere un po’ strano» .

Necrologio sul settimanale pordenonese progressista e radicale «Il Noncello»
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