Placido Fabris

Placido Fabris combattendo da repubblicano eroe garibaldino ebbe due medaglie al valor militare, ma da normale cittadino possidente sparò e uccise un piccolo ladruncolo che rubava prugne.

Fabris Placido di Bernardo e di Rosa Brunetta nacque a Povegliano (Treviso) 3 gennaio 1839 il padre, originario di Pieve d’Alpago (Belluno), esercitava la professione medica.
Compiuti gli studi superiori, Placido Fabris seguì le orme paterne, avviandosi ai corsi di medicina presso l’Ateneo di Pavia dove venne a contatto con l’ambiente studentesco che ribolliva e scalpitava contro la dominazione austriaca. Nel 1860 partecipò alla spedizione dei Mille e fu condannato in contumacia per essere fuoriuscito illegalmente dal Veneto.

Fabris cominciò la sua avventura al seguito di Garibaldi da soldato semplice, assegnato alla 7ˆ Compagnia, comandata da Benedetto Cairoli, con la quale sostenne il battesimo del fuoco a Calatafimi. Partecipò alla conquista di Palermo. Furono tre giorni di aspri scontri e, presso il Ponte dell’Ammiraglio, Placido Fabris venne dato per morto, ferito così gravemente da essere considerato irrecuperabile, con il petto trafitto dalla baionetta di un soldato borbonico.

Ma, grazie ad una buona dose di fortuna e alla prestanza fisica, non morì. Ricomparì, quasi come un risorto, a seguire la spedizione dei mille, lungo il Regno delle Due Sicilie, sino a meritarsi un encomio solenne di Benedetto Cairoli, guadagnato sul campo del Volturno, insieme alla medaglia d’argento al valor militare.

Dopo l’impresa si ritrovò tra gli emigrati veneti, senza possibilità di tornare a casa, sotto la sorveglianza da parte della polizia sabauda in quanto ” repubblicani” e tra difficoltà economiche.

Fedele a Garibaldi, lo seguì anche nel 1862, quando Garibaldi tentò con una nuova spedizione di prendere Roma, ancora sotto il dominio temporale del Papa, che costò al Fabris una detenzione nelle patrie galere, di lì a poco cancellata da un’opportuna amnistia del re.

Nel 1866, allo scoppio della Terza Guerra d’Indipendenza, partecipò alle operazioni militari in Trentino e, alla vittoria di Bezzecca, dove venne ferito  e conquistò una medaglia al valore militare. Restituito il Veneto all’Italia, poté finalmente tornare alla sua piccola patria, Povegliano, da cittadino italiano, per amministrare le sue proprietà.

Nel 1867 Fabris partecipa all’ennesimo tentativo garibaldino di conquistare Roma. Era con i fratelli Cairoli a Villa Glori, tra i pochi superstiti riuscì a fuggire e raggiunse il grosso della truppa partecipando anche alla battaglia di Mentana.

Fece anche il consigliere comunale e l’assessore di Povegliano. Si ammalò e siccome non era sposato si spense presso il cognato a Padova, il 17 dicembre 1907. La sua salma fu trasportata a Povegliano dove i funerali furono solenni. Fu esposto al popolo con la camicia rossa e il berretto sul petto.

Egli aveva una statura imponente, e un bel aspetto. Vestiva quasi sempre con una lunga giacca alla cacciatora e il fucile a tracolla, girava per la sua proprietà e per le strade incuteva rispetto a tutti.
La notte del 9 luglio 1868 Fabris sorprese un giovane villico che era entrato nella sua proprietà e stava salendo su un pruno. Colto sul fatto da Fabris”, questi non ci pensò due volte a sparargli alle gambe con un fucile a pallini e, mentre il giovane villico tentava la fuga cercando di scavalcare il muro di cinta, gli sparò nuovamente da distanza ravvicinata facendo cadere il giovane sulla strada. Tommaso Crema, questo il nome del giovane contadino poveglianese, morì dissanguato poche ore dopo.
Fabris venne processato e condannato dal tribunale di Treviso a due anni di carcere duro. In seguito la corte d’Appello di Venezia ridusse la pena a sei mesi, in parte condonati per grazia sovrana. Le medaglie non gli vennero ritirate e neppure il vitalizio.

“Cadde pure Placido Fabris da Povegliano di Treviso, bello tanto che i compagni d’Università lo chiamavano Febo; egli fu lasciato per morto sotto il ponte, col petto trapassato dalla baionetta di un cacciatore borbonico che gli giaceva accanto, ucciso da qualcuno dei volontari sopraggiunto in tempo solo per vendicare, non per salvare il compagno. Però il Fabris non morì, e col tempo si rimise, per altre battaglie e per ricevere una seconda ferita sei anni dopo a Bezzecca”

G.C.ABBA
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