Antonio Mosto

Antonio Mosto

Antonio Mosto, gran tiratore e uomo d’azione, conciliò Mazzini e Garibaldi, ma non superò le delusioni politiche, le perdite economiche e il dolore per la morte del fratello.

Nacque a Genova il 12 luglio 1824 da Paolo e da Nicoletta Rivarola, quartogenito di sette figli. La famiglia era benestante, impegnata nel commercio marittimo anche con l’Oriente.
Fin da adolescente iniziò a lavorare nell’azienda paterna, frequentando ambienti in cui erano diffusi gli ideali democratici e nazionali. Nel 1948 partì con il fratello per la Lombardia e si arruolò in una compagnia di volontari, insieme a Goffredo Mameli, Nino Bixio, Giuseppe Daneri. Partecipò all’assedio di Peschiera.

Cospiratore Mazziniano

Nel decennio successivo si affermò come esponente importante della borghesia commerciale genovese e allo stesso tempo, insieme a Francesco Bartolomeo Savi e Antonio Burlando, moltiplicò il suo impegno politico, di impronta mazziniana, ma sempre improntato al  pragmatismo. Sostenne le varie associazioni di mutuo soccorso e fondò la società per il Tiro a segno, ideata dagli ambienti radicali con l’obiettivo di addestrare i giovani per la guerra di liberazione nazionale. Peraltro Mosto si dimostrò un ottimo tiratore, vincendo numerose gare.

Nel 1857 il movimento repubblicano organizzò dei moti a Genova e Livorno, che finirono con una dura repressione. Mosto, pur non partecipando all’azione, fu identificato come promotore e condannato a morte. A differenza del suo amico Savi, che scontò una lunga detenzione, Mosto era riuscito a fuggire in Inghilterra. Nell’esilio britannico aprì una attività commerciale, si legò ancora più profondamente a Mazzini, frequentò l’ambiente degli esuli, stringendo amicizia soprattutto con il siciliano Rosolino Pilo.

comandante dei Carabinieri Genovesi

Rientrato grazie all’amnistia del 1859 a Genova, durante la seconda guerra d’indipendenza a cui non riuscì a partecipare insieme ai giovani che aveva addestrato, riprese subito l’attività commerciale ma soprattutto l’attività politica. Nelle settimane che precedettero il maggio del 1860 la sua casa ospitò ininterrotte riunioni. intorno a lui si raccolse un piccolo ma ben addestrato gruppo di volontari, i Carabinieri genovesi, armati di armi moderne ed efficaci di fabbricazione svizzera, equipaggiati a spese dello stesso Mosto e del suo amico Burlando.

Dopo la partenza da Quarto comandò i Carabinieri organizzati in un reparto autonomo, in cui figuravano Burlando, Savi, Canzio e Uziel.
I Carabinieri furono i principali protagonisti della vittoria garibaldina a Calatafimi.
Nei giorni successivi, durante la marcia fu ucciso il fratello Carlo, creduto prigioniero e ritrovato solo dopo la conquista di Palermo.
I Carabinieri furono all’avanguardia negli scontri sulle barricate di Palermo e in prima fila nella battaglia di Milazzo, riportando perdite altissime e costituendo di fatto il corpo scelto dell’esercito di Garibaldi. Erano ormai celebri, facendo del loro capitano uno dei personaggi più conosciuti dell’epopea dei Mille.

Dopo lo sbarco in Calabria Mosto fu promosso maggiore. Nel proseguo della campagna combatté sulla linea del fronte, da Caiazzo fino ai Capua. Nella battaglia del Volturno i Carabinieri rinnovarono la loro fama, partecipando agli scontri intorno a S. Angelo e difendendo Caserta, subendo ancora una volta perdite molto elevate. Poche settimane dopo, con lo scioglimento dell’esercito meridionale, i genovesi tornarono nella loro città, delusi per la mancata prosecuzione della marcia su Roma. Mosto fu proposto per la medaglia d’oro, che respinse dopo l’episodio di Aspromonte dell’agosto 1862.

l’impegno dopo i mille

Nei due anni successivi Antonio Mosto partecipò alle convulse vicende che dividevano mazziniani e garibaldini che portarono alla formazione di due organizzazioni distinte. Mosto fu membro di entrambi i comitati, affiancando alla lealtà verso Mazzini una solida amicizia con Garibaldi. Dopo la crisi di Aspromonte, alla fine dell’estate del 1862, Mosto diventò l’esponente di maggior rilievo del movimento mazziniano genovese. Divideva il suo impegno tra il consiglio comunale, la direzione del Tiro a segno, la promozione delle strutture politiche del movimento e la raccolta di armi e di fondi per possibili interventi nel Veneto. Non rinunciò mai al suo ruolo di mediatore, una funzione svolta anche negli anni successivi.

Nel frattempo dovette registrare il progressivo esaurimento del patrimonio familiare, dovuto anche all’ininterrotta azione di sostegno al movimento mazziniano. Cercò tuttavia di rinnovare le sue iniziative imprenditoriali, impegnandosi tra l’altro con Carlo Cattaneo nella campagna per l’apertura del traforo del Gottardo. Verso la fine degli anni Sessanta partecipò alla fondazione della Banca popolare di Genova, di cui divenne direttore.

Nel 1866, ottenne l’autorizzazione a fondare il corpo dei Bersaglieri volontari, composto da molti dei vecchi carabinieri genovesi. Si si distinsero per tutta la campagna, fino a Bezzecca. Nella delusione della fine della guerra Antonio Mosto espresse dure critiche sull’operato degli alti comandi.
Tornato a Genova riprese l’attività politica e nell’autunno del 1867, quando Garibaldi ritentò l’impresa romana, Mosto e i genovesi lo seguirono in massa. Parteciparono all’assalto a Monterotondo, con grandi perdite. Mosto restò ferito gravemente a una gamba, tanto da restare menomato e dover essere rapidamente riportato a Genova.

le delusioni politiche

Nel frattempo si era sposato contro il parere della sua famiglia con una donna di origine spagnola, Pasqualina Yrarzabal.
Antonio Mosto rimase attivo nelle organizzazioni repubblicane di mazziniani e garibaldini che, dopo Mentana, si ritrovarono su posizioni marginali impegnate in piccole cospirazioni senza sbocco. Nel giugno del 1869, comunque Mosto venne arrestato e detenuto per qualche mese.
Negli anni ’70 conobbe sempre maggiori insuccessi nelle attività imprenditoriali e il fallimento della Banca popolare che dirigeva. Le difficoltà personali, le delusioni e la morte di Mazzini lo portarono ad abbandonare progressivamente l’impegno politico. Morì a Genova il 30 giugno 1890.

“… chi lo volesse dipingere, è una bella testa di filosofo antico…”

G.C. ABBA

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