Giuseppe Baice

Baice dei Mille

Giuseppe Baice era partito da casa pieno di sogni e di illusioni, ed era ritornato al nord stanco, sfiduciato, malato e senza alcun mezzo per sostenere la sua dura esistenza.

Baice Giuseppe di Sebastiano e di Maria Bertoldi nacque a Magrè (Vicenza) il 7 settembre 1837. Persi la madre e poi il padre in giovane età si trasferì a Padova accolto dallo zio che era a servizio presso un canonico. Qui rimase fino al 1859 quando, malgrado la vigilanza austriaca, varcò il confine, raggiunse il Piemonte arruolandosi nell’esercito piemontese come volontario.
Congedato, con una salute malferma e temendo le rappresaglie della polizia austriaca, non ritornò a Padova ma rimase in Lombardia in attesa di eventi.
Nel 1860, quando si divulgò tra i patrioti la notizia che Garibaldi stava per intraprendere la spedizione per liberare la Sicilia, si recò a Genova per imbarcarsi. Durante la sosta a Talamone, fu assegnato alla V Compagnia comandata da Anfossi.

Si distinse nella battaglia di Calatafimi e nelle giornate di Palermo fu aggregato alla XV divisione e partecipò alla battaglia di Milazzo, dopo aver prestato la sua opera di istruttore delle reclute siciliane. In quel periodo Baice sperava in una promozione che non arrivò. Dopo la battaglia di Milazzo, il Baice fu aggregato alla Divisione Avezzano e partecipò alla battaglia del Volturno.

Dopo il congedò, non potendo tornare in Veneto, si recò a Milano e cominciò un periodo di continui spostamenti, conducendo una vita di stenti, vigilato (come tutti i reduci garibaldini veneti) dalla Regia Questura e con la salute sempre più malferma.
Fu a Novara, Vercelli, Torino, Pavia, Milano, Senigallia, Ancona, Bologna.
Chiese inutilmente alle autorità un qualche sussidio per mantenersi. L’unico aiuto gli veniva dal vecchio zio sagrestano, uomo timorato, che mai aveva visto di buon occhio le imprese del nipote ma gli inviava quello che poteva perché avesse a curarsi.
La pensione dei Mille alleviò le sue condizioni economiche, ma la sua salute ormai era compromessa e gli impediva di lavorare quando riusciva a trovare un impiego.
Nel 1866 si trova a Cesenatico su consiglio dei medici quando gli eventi della III guerra d’Indipendenza gli consentirono di tornare il Veneto.
Ai primi del 1867 egli poté finalmente ritornare alla casa paterna. Non aveva ancora 30 anni ma le sue condizioni di salute erano ormai disperate. Morì il 7 giugno 1867 per tubercolosi.

“… Già ne avete fatto abbastanza!…”

lettera dello zio Giobatta che lo esortava a trovarsi una sistemazione
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