Pietro Ripari

Ripari dei Mille

Pietro Ripari fu medico dei garibaldini in tutte le campagne, ma non rinunciò per questo all’azione politica e alla polemica, da vero repubblicano.

Ripari Pietro di Ludovico nacque a Solarolo Rainerio (Cremona) il 20 luglio 1802 in una famiglia benestante di piccoli proprietari terrieri. Studiò medicina a Pavia e a Padova venendo a contatto con gli ambienti carbonari e mazziniani
Si laureò nel 1827 ed esercitò per oltre vent’anni la professione di medico condotto, dedicandosi anche agli studi scientifici: è del 1842 la pubblicazione del lavoro Nuova teoria Medica: discorso sull’infiammazione.

Nel 1848 abbandonò la professione per dedicarsi interamente alla causa risorgimentale. Si recò a Milano, dove conobbe Giuseppe Garibaldi appena rientrato dall’America del Sud, e fu inviato a Venezia presso Daniele Manin, in qualità di rappresentante del Governo provvisorio lombardo.
Si aggregò poi come aiutante chirurgo alla spedizione dei volontari cremonesi in Trentino.
Dal maggio all’agosto del 1848 collaborò come redattore al quotidiano mazziniano L’Italia del Popolo con articoli di natura finanziaria e militare.

Dopo l’armistizio di Salasco e il rientro delle truppe austriache a Milano, Ripari si rifugiò insieme a Giuseppe Mazzini a Lugano dove pubblicò un pamphlet, dal titolo Tradimenti e Colpe, nel quale analizzava le cause politiche e gli errori militari che, secondo lui, avevano condotto al fallimento della guerra contro l’Austria, attribuendo pesanti responsabilità a Carlo Alberto di Savoia e ai membri del Governo provvisorio di Milano: l’opuscolo, introdotto clandestinamente in Piemonte e Lombardia, conobbe un discreto successo e rese noto il nome di Ripari alle varie polizie.
In seguito al fallito tentativo insurrezionale della Val d’Intelvi (31 ottobre – 1º novembre 1848), le autorità elvetiche concessero a Ripari otto giorni per lasciare la Svizzera, e il medico rientrò clandestinamente in Italia, rifugiandosi a Venezia, che ancora resisteva agli austriaci.

Dopo la caduta di Venezia, raggiunse Garibaldi a Roma, fu incaricato dell’organizzazione del servizio sanitario e si prodigò, insieme ad Agostino Bertani, nella cura dei feriti, partecipando comunque anche ai combattimenti.
Alla capitolazione della Repubblica Romana Ripar rimase a Roma per continuare ad assistere i feriti, previa autorizzazione del Comando francese. Ma la sera dell’8 agosto 1849 alcuni gendarmi papalini fecero irruzione alla “Locanda d’Inghilterra”, dove il medico era alloggiato, e lo trassero in arresto. Venne condannato il 2 maggio 1851 a venti anni di carcere duro. Venne graziato solo nel 1856 per intercessione di alcuni amici influenti.

Dopo la scarcerazione si rifugiò dapprima a Parigi dove pubblicò una lettera contro l’illegalità della sua prigionia, svelando nello stesso tempo gli orrori del Forte di Paliano. Successivamente si recò a Londra. Dal suo esilio londinese pubblicò sul giornale mazziniano genovese L’Italia del Popolo le Lettere al Cardinale Antonelli, atto d’accusa all’influente Segretario di Stato di Pio IX che aveva reso inapplicabile per lui l’amnistia che il Pontefice aveva concesso ai detenuti politici dopo il suo ritorno a Roma.

Rientrato in Italia nel 1859, nel corso della seconda guerra di indipendenza Ripari fece parte del Servizio Sanitario dei Cacciatori delle Alpi, a capo del quale venne nominato Agostino Bertani. Nel 1860 era Genova per la Spedizione dei Mille. Garibaldi lo volle a dirigere il Servizio Sanitario che fu messo a dura prova a Calatafimi: Ripari ricoverò i feriti nell’ospedale organizzato nel vecchio convento di San Francesco, a Vita. Il proseguo delle operazione lo costrinse a seguire la truppa lasciando i feriti alle cure dei frati e questo causò la perdita di alcuni di essi.
“L’ambulanza” di Ripari non fu quindi un ospedale di retrovia, ma seguì durante tutta la spedizione le colonne garibaldine, efficiente posto di primo soccorso sulla linea del fuoco.
Dalla campagna di Sicilia Ripari inviò numerose corrispondenze di guerra al bisettimanale Corriere Cremonese.
A novembre si dimise in disaccordo con la piega sabauda che avevano preso gli eventi.

A fine giugno del 1862 Ripari raggiunse Garibaldi a Caprera. Il medico fu tra i pochi intimi messi al corrente dal Generale del suo progetto per la liberazione di Roma. Lo seguì poi in Sicilia e a Palermo fu affiliato, su proposta dello stesso Garibaldi, alla massoneria insieme agli altri componenti dello Stato Maggiore garibaldino (Giacinto BruzzesiFrancesco NulloEnrico GuastallaGiuseppe GuerzoniGiovanni ChiassiGiovanni BassoGiuseppe NuvolariGustavo Frigyesi ).

Il 19 luglio 1862, da Marsala Garibaldi lanciò il fatidico «O Roma o morte» e, attraversata l’isola raccogliendo volontari, passò lo stretto di Messina nella notte del 25 agosto. Da Torino il governo Rattazzi diede ordine alle truppe regolari di fermare i garibaldini. Lo scontro avvenne sull’Aspromonte. Garibaldi ricevette una ferita nell’articolazione del piede destro, e venne immediatamente soccorso da Ripari e dai medici siciliani dott. Giuseppe Basile e dott. Enrico Albanese. Albanese tentò sul campo un’incisione d’urgenza per estrarre la palla, decisione alla quale tuttavia si oppose nettamente Ripari, fautore di un rinvio dell’intervento a un momento più favorevole e convinto, sbagliando, che il proiettile non fosse stato trattenuto nell’articolazione. Ripari si trovò così al centro di un fatto clamoroso, che commosse l’Italia e complicò drammaticamente la questione dell’Unità nazionale.
Continuò ad assistere Garibaldi sulla fregata Duca di Genova, fino a La Spezia e alla detenzione al  Forte del Varignano, fino al 22 ottobre quando, per effetto del decreto di amnistia del 5 ottobre, il generale fu trasferito in un albergo a La Spezia, e di qui, l’8 novembre, a Pisa. Ripari, insieme agli altri due curanti Basile e Albanese, presenziò sempre ai numerosi consulti di medici più o meno illustri, italiani ed europei, che si succedettero al capezzale di Garibaldi e fu presente all’intervento del 23 novembre, quando il professor Ferdinando Zannetti di Firenze estrasse finalmente il frammento di piombo dalla ferita.
Tutta la vicenda fu raccontata da Ripari nel 1863 nel libro Storia medica della grave ferita toccata in Aspromonte dal Generale Garibaldi. in cui polemizza aspramente con il Governo di Torino, lanciando anzi apertamente l’accusa di aver tentato di assassinare Garibaldi con un’assistenza inadeguata.

Scoppiata nel 1866 la terza guerra di indipendenza, Ripari fu ancora una volta a fianco di Garibaldi a Ponte Caffaro e a Bezzecca. Nell’ottobre del 1867 Ripari fece parte dello Stato Maggiore di Garibaldi per il nuovo tentativo verso Roma che si infranse a Mentana.
Il 13 giugno 1869 fu eletto deputato. Al Parlamento di Firenze, Ripari sedette sui banchi dell’estrema sinistra repubblicana.
Terminata la legislatura Ripari si trasferì prima a Genova, poi a Palermo, e infine a Roma.
Deluso e sfiduciato dal nuovo corso della politica postunitaria, condusse una vita sempre più ritirata. Morì a Roma in povertà nel 1885. La sua salma, vestita con la camicia rossa fu cremata e le ceneri tumulate nel cimitero monumentale del Verano in Roma.

“… si aggira per Montecitorio come uno spirito d’altri tempi…”.

Giovanni Faldella, giornalista
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